Emergenza Covid

Come laboratorio di fabbricazione digitale abbiamo vissuto qualcosa di straordinario che ci ricorderemo per sempre. Il racconto di Massimo Temporelli:

La mattina di venerdì 13 marzo 2020, molto presto, fui svegliato da una telefonata di Nunzia Vallini, direttrice del «Giornale di Brescia», con cui collaboro da anni per diffondere la cultura dell’Industry 4.0 nelle scuole di Brescia e provincia. Nei miei incontri con gli studenti, mostro e faccio usare tecnologie emergenti come stampanti 3D, robot e schede IoT, cercando di convincere alunni e professori ad abbracciare questa “Quarta rivoluzione industriale”, che, come le precedenti (Vapore 1.0, Elettricità 2.0, Digitale 3.0), avrà un forte impatto sul nostro modo di lavorare e vivere.

Quella mattina mi colpirono due cose: l’orario, davvero molto presto, e la voce agitata di Nunzia. Scoprii che, in un ospedale della provincia di Brescia, a Chiari, nel cuore della pandemia, stavano finendo alcuni pezzi di ricambio di uno strumento per la respirazione assistita, e il fornitore non poteva consegnarli in tempo. Il pezzo mancante era una piccola valvola Venturi, fondamentale per miscelare l’aria con l’ossigeno e facilitare la respirazione dei pazienti.

Nunzia mi chiese se fosse possibile stampare la valvola in 3D. Non essendo un tecnico ospedaliero, mi aveva chiamato perché, durante il nostro progetto sull’Industry 4.0, mi aveva sentito affermare che la stampa 3D era ormai matura per passare dalla prototipazione rapida alla produzione veloce. Una delle mie slide diceva: “From fast prototyping to fast production”. Vedendo la foto della valvola sul mio smartphone, non avevo dubbi che il progetto fosse realizzabile. Tuttavia, non potevo farlo io stesso, così cercammo qualcuno a Brescia che potesse aiutare: entrò in scena Cristian Fracassi con il suo team.

In poche ore, Cristian raggiunse l’ospedale di Chiari, ritirò un campione della valvola, ne ridisegnò le forme digitalmente e produsse un primo prototipo con la sua stampante 3D FDM. Già nel pomeriggio ricevevo da lui e da Nunzia le foto dei primi prototipi stampati. Quella sera, prima di cenare, scrissi un post sui miei social raccontando quanto accaduto, allegando le immagini della valvola originale e di quella stampata in 3D. Non immaginavo che quel post, in pochi minuti, avrebbe fatto il giro del Paese, scatenando ammirazione ma anche critiche feroci. Alla fine, fu condiviso da quasi 20.000 persone, raggiungendo milioni di smartphone e computer.

Le reazioni si dividevano in due grandi filoni:

  • “Siete dei grandi!”
  • “Siete dei pazzi!”

Il primo gruppo apprezzava l’audacia, il coraggio e la creatività di questa azione disperata; il secondo puntava il dito sul fatto che nel processo di produzione digitale si saltavano tutti i protocolli, dal rispetto della proprietà intellettuale alle certificazioni europee (CE). Due approcci opposti, che riflettono l’eterna lotta tra innovatori e conservatori.

Gianluca Dettori scrisse un articolo intitolato “L’innovazione non chiede permesso”, cogliendo l’irriverenza dell’innovazione, che rompe le regole e sovverte i paradigmi. Al di là degli aspetti filosofici, ciò che rende la storia di Cristian Fracassi ancora più memorabile è l’aspetto umano: la possibilità di salvare vite attraverso l’uso intelligente della tecnologia. Questa fu la matrice della reazione di Cristian alle critiche:

“Vorrei ricordare a quelli che si scandalizzano, che senza una CE non si va da nessuna parte, che dovrebbero prima trovarsi nella condizione di essere in un letto ammalati, avere una crisi respiratoria, avere il respiratore lì di fianco ma non poterlo usare perché un pezzo funzionante non ha il CE. Siamo in emergenza, non in una situazione di normalità.”

Dopo aver validato le forme della valvola con i clinici, Cristian avviò la produzione in serie utilizzando una stampante 3D professionale a sinterizzazione (SLS), e nella notte tra venerdì 13 e sabato 14 marzo stampò centinaia di pezzi da montare sulle macchine per la respirazione assistita. Sabato pomeriggio, le valvole stampate erano già installate e funzionanti. Erano passate solo 36 ore dalla chiamata di Nunzia.

Quella sera, felice delle buone notizie, scrissi un secondo post sui social, aggiornando quanti seguivano la vicenda e rispondendo a chi ci aveva attaccato:

“Lasciate però che mi tolga due o tre sassolini dalla scarpa: sono stati in tanti a dubitare e criticare questo sistema di agire che, è vero, sarà poco ortodosso, poco regolare, non certificabile… ma ca**o, sta permettendo di salvare vite umane. Ecco, a tutti voi dico: vinciamo noi! Vince Cristian, vince l’Ospedale di Chiari, vince chiunque crede in quello che fa, al di là degli ostacoli, e non si lamenta, non critica ma agisce, spera e lavora. Questa è l’umanità che fa la storia… Io sto dalla loro parte. Sempre!”

Nei giorni successivi, altri ospedali italiani ci contattarono per risolvere lo stesso problema. Il file 3D fu trasferito a Milano, e il mio laboratorio – TheFabLab – coordinò il lavoro con decine di ospedali, producendo centinaia di valvole grazie alla collaborazione con IdeaFactory. In pochi giorni, le preziose valvole furono stampate e distribuite, permettendo di salvare centinaia se non migliaia di vite.

Questa storia dimostra che quando tecnologia, creatività e umanità si uniscono, nulla è impossibile. Ci mostra anche che le tecnologie digitali per la produzione di beni fisici sono ormai mature e potrebbero permetterci di reimmaginare totalmente il nostro modo di progettare, produrre, distribuire e consumare le merci fisiche.

Successivamente, Cristian ebbe un’altra intuizione: trasformare le maschere da snorkeling vendute da Decathlon in dispositivi per la respirazione assistita. Grazie alla collaborazione con Decathlon, che fornì i file 3D e donò migliaia di maschere, progettò valvole e snodi stampati in 3D per modificare le maschere. Il file fu rilasciato in open source, permettendo a centinaia di laboratori di contribuire a produrre e distribuire le valvole, salvando altre migliaia di vite.

Cosa abbiamo imparato da questa storia? Che una manifattura digitale, urbana e “on demand” è possibile. Se i prodotti viaggiassero come file digitali e fossero prodotti localmente quando e dove servono, potremmo ridurre sprechi, costi di trasporto e impatto ambientale, promuovendo una produzione più sostenibile ed efficiente.

È tempo di ripensare il nostro approccio alla manifattura, investendo nella diffusione della cultura scientifica e dell’innovazione, e preparandoci per il momento in cui la Quarta rivoluzione industriale diventerà il nuovo paradigma. Sta a noi – imprenditori, manager, professori, studenti, tecnici e giornalisti – accelerare questo processo e costruire un futuro più sostenibile, efficiente e umano.

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